Questo calcio ha un senso?

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Questo calcio ha un senso?

Che ognuno pensi al proprio interesse, è un dato di fatto e per definizione. Non c’è niente di cui stupirsi o indignarsi, fa parte della normalità. Figuriamoci dunque se non debba essere la legge di natura nel calcio, e nel calcio italiano poi. Che sì, in principio è uno sport, ma diciamoci la verità: è un grandissimo business, ed è un giro di centinaia di milioni di €.

Quindi, va bene così, ognuno faccia il proprio interesse.

Eppure. Esiste un limite? Se questo rimane un business lecito, c’è un limite etico non disciplinato dalle regole ma che fermi dal perseguire il proprio interesse a ogni costo? O per un pugno di qualche milioni di €, è lecito fare qualcosa di comunque regolamentare ma completamente disgustoso?

Lo spettacolo offerto dalla Serie A nell’ultima settimana è stata la messa in scena più vomitevole mai vista in 120 anni di storia del calcio italiano. E sì che il calcio italiano ne ha toccati di bassifondi, prima con l’abisso balordo del Calcioscommesse nell’80, e poi con quello manigoldo di Calciopoli nel 2006.

Ma là si era sfollato nel penale, si è entrati nell’associazione di delinquere, insomma attività criminale vera, mica cotica.

In un certo senso, stavolta la sensazione di disgusto è peggiore. Perché è la banalità del normale che fa specie.

Mentre attorno c’è un paese che per la prima volta dopo decenni è sempre più incerto sul proprio futuro, e non quello lontano ma proprio la paura del domani, giorno per giorno, la Serie A riusciva a litigare su qualsiasi cosa: sul calendario, sulle porte aperte, sulle porte chiuse, sulle porte schiuse.

Però il gioco ‘tutti colpevoli’ non funziona. E’ la maniera migliore perché nessuno sia colpevole, ed è la maniera su cui questo carrozzone ha tirato a campare per anni.

No. La situazione qua è piuttosto chiara. Ricordiamoci che sabato 22 febbraio lo shock per i primi morti per il coronavirus aveva colpito tutti, e dunque il rinvio delle partite da giocare al Nord fu una naturale conseguenza per tutti.

Poi è arrivata la giornata incriminata, quella che ha provocato l’effetto domino. Quella di Juventus-Inter e altre cinque partite.

Juventus-Inter

Porte chiuse si era detto al lunedì. Porte chiuse si era confermato al giovedì. Salvo poi tentare una capriola in 48 ore per giocarla al lunedì a porte aperte, poi al mercoledì spostando la Coppa Italia, poi poi spostandola al 13 maggio a porte aperte, poi provando ad anticiparla, poi un casino.

Juventus-Inter.

Stramaledettissima Juventus-Inter. Come se fosse l’unica cosa che conta.

Come se in questo momento l’unica funzione del calcio non sia provare a distrarci per 2 ore dalla preoccupazione, per ridarci una parvenza di normalità.

Perché la vita è cambiata, è inutile che ci illudiamo. Semplicemente, non sappiamo per quanto lo sarà ancora.

E allora. Se la vita è cambiata per ragioni mostruose. Se la salute pubblica è messa a rischio dal radunare 40mila persone assieme allo stadio.

Se. Se. Se questo è vero.

Come è possibile che possa esserci qualcuno che per il proprio misero lucro di 5 milioni di spicci, per evitare di rimborsare i biglietti, per pensare al vantaggino di vincere o perdere lo scudetto, come è possibile che questi motivi siano tutti sufficienti a inseguire il miserabile fine di provare a smuovere mari e monti pur di giocare a porte aperte anche se questo rappresenta un rischio per la salute pubblica?

Non c’è risposta.

Ma in questo momento, non ha nemmeno senso cercarla.

Fate rotolare il pallone, distraeteci per un paio d’ore, e questo è tutto quello che chiediamo al calcio.

Perché in questo momento anche certe miserie del genere umano, sembrano lontanissime come la serenità che c’era il 20 febbraio.

Provate a rendervi utile. Distraeteci. Fate in modo che l’esistenza di questa baracca abbia ancora un senso.

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